Samuel Beckett – Aspettando Godot

chi è Godot?

e adesso che facciamo?

aspettiamo Godot

bisogna tornare domani

a far che?

ad aspettare Godot

La storia di un appuntamento. O meglio, l’attesa dell’arrivo di Godot all’appuntamento. Godot sarebbe arrivato al terzo atto? Non lo sapremo mai: Beckett, si è fermato al secondo.

Mentre aspettiamo, accadono molte cose. Il messaggio di Beckett potrebbe essere: non aspettiamo che accadano, diamoci da fare attivamente, per essere padroni del nostro tempo. E qui mi trovo a riflettere sul significato del blog, che vorrebbe invitarvi a leggere per dar senso al tempo. Quella del messaggio dell’autore è solo un’ipotesi, forse non c’è alcun messaggio da recepire, si tratta di puro esercizio di stile (ben riuscito); leggiamo il testo, ne siamo felici e riponiamo il libro. Poi, possiamo congratularci d’aver letto l’opera.

Aspettando godot 2009 Teatro Stabile di Genova
2009 Aspettando Godot Jean-Marc Stehlé, Catherine Rankl | Teatro Stabile di Genova http://www.spazioscenicosrl.it/

Facciamo un esercizio: immaginiamo di leggere “aspettando Godot” mentre attendiamo che un signore di nostra conoscenza arrivi, diciamo che questo signore si chiami “Godot”. Ecco, siamo finiti in un clamoroso circolo vizioso. In attesa di Godot, capitano tante cose; anche se arrivasse Godot succederebbero un sacco di cose. Non arriva, dobbiamo accontentarci di quel che è successo nel mentre… direte: “troppo poco”, e se invece fosse successo tutto il necessario per riempire il vuoto dell’attesa? E’ un modo diverso per darvi un’idea di cosa credo sia “aspettando Godot”, anche se non mi è per nulla chiaro cos’aveva in mente Beckett. Ora l’ho letto una volta, è meglio che io riprenda la lettura di “aspettando Godot” per trovare qualche altro elemento. E’ forse il testo che mi ha confuso di più.

Provate a leggerlo, dicono che sia piaciuto molto e che abbia segnato il nostro tempo. E magari rileggetelo per assicurarvi di non aver perso qualche particolare. E poi… pensavo… vi ho forse fatto perdere tempo? Se avete questa sensazione, leggete questa pagina, troverete una buona analisi di “aspettando Godot”, complimenti a chi l’ha scritta:

 http://www.samuelbeckett.it/?page_id=525

POZZO  […] Anche con la creatura più meschina ci s’istruisce, ci si arricchisce, si apprezza di più la propria fortuna. Perfino voi due (li guarda attentamente, prima uno e poi l’altro, perché si sentano entrambi presi di mira) perfino voi due, dicevo, chi sa se non mi avete dato qualcosa.


VLADIMIRO  Ma non puoi mica andare in giro scalzo.

ESTRAGONE  Gesù l’ha fatto.

VLADIMIRO  Gesù! Cosa vai a tirar fuori! Non vorrai mica paragonarti a lui, per caso?

ESTRAGONE  Mi sono paragonato a lui tutta la vita.

VLADIMIRO  Ma laggiù dove stava lui faceva caldo! C’era bel tempo!

ESTRAGONE  Sì. E si sbrigavano a metterti in croce.

Silenzio.


POZZO  […] Partoriscono a cavallo di una tomba, il giorno splende un istante, ed è subito notte.

(Samuel, Beckett, Aspettando Godot, Einaudi, 1982, pp. 40 – 66,67 – 105)

Samuel Beckett - Aspettando Godot

 

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Albert Camus – Lo straniero

il grilletto ha ceduto

quel rumore secco e insieme assordante

ha distrutto l’equilibrio del giorno

quattro colpi secchi sulla porta della sventura

 Meursault, il protagonista, è una persona comune che affronta, come tutti, le vicende della vita. Un giorno l’equilibrio finisce, e si ritrova a dover spiegare a degli sconosciuti le ragioni che lo hanno portato ad uccidere una persona; ciò non è possibile per il solitario Meursault, che vive nel suo mondo senza ammettere interferenze esterne. E’ accaduto, punto e basta: il sole, il caldo, la lama luccicante, era inevitabile dovesse accadere e così è stato. Punto, basta.

LO-STRANIERO4©Marco_Caselli_Nirmal
Lo straniero di Albert Camus – Fondazione Teatro Due, regia Franco Però, con Roberto Abbati, Alessandro Averone, Paola De Crescenzo, Michele de’ Marchi – www.teatrodue.org

Il protagonista non prende in considerazione la possibilità di difendersi… ma attenzione! Non lo fa perché accetta la sentenza e vuole espiare le sue colpe; al contrario, non mostra alcun pentimento, va incontro alla condanna, punto. E se gli si chiede se è dispiaciuto per ciò che ha fatto, Meursault risponde: “piuttosto che dispiacere provavo una certa noia”. Meursault non chiarisce la sua posizione con chi lo sta giudicando, perché non ne ha voglia e perché crede fermamente che sia inutile un qualsiasi dialogo con chi lo vuole giudicare in base a frivoli elementi, che lui trova ridicoli, come ridicola gli sembra la società tutta. L’attenzione con cui sono analizzati particolari del suo comportamento, che lui ritiene assolutamente insignificanti (come il suo rapporto con la madre, che obiettivamente non ha alcuna connessione con il delitto), gli conferma la ragionevolezza del suo agire, e la vicenda dell’omicidio perde d’importanza.

Spesso Meursault ci rivela che avrebbe potuto spiegare o avrebbe potuto chiarire, ma non lo fa perché gli è impossibile “abbassarsi” al livello dei suoi interlocutori, che Meursault  disprezza perché inferiori, incapaci quindi di capirlo.

La vicenda è raccontata in prima persona da Meursault stesso: il lettore ha quindi il privilegio di conoscere anche i pensieri più intimi del protagonista, superando le barriere invalicabili poste contro tutti coloro che lo circondano. Ma, anche con questa intima conoscenza, nonostante il superamento di tante barriere, l’impressione che avremo di Meursault sarà quella di un uomo dannato senza speranza di salvezza.

Breve, intenso, ben scritto. Molto interessante. Arrivano l’estate e il caldo; leggetelo, quando passeggerete lungo una spiaggia assolata vi tornerà sicuramente alla mente questo libro. Un’avvertenza: cortesemente, evitate di portare con voi armi, si sa che il caldo fa brutti scherzi … e poi in un attimo si finisce col bussare alla porta della sventura.


Infine, dopo la lettura, seguite il mio suggerimento: guardate la splendida trasposizione cinematografica di Luchino Visconti.

http://www.luchinovisconti.net/visconti_sc_film/lo_straniero.htm

[…] e lui mi ha guardato in maniera strana, come se gli ispirassi un certo disgusto.

Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida di odio.

(Albert, Camus, Lo straniero, Bompiani, 2010, p. 82 – 150)

Albert Camus - Lo straniero

 

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Augusto Fraschetti – Romolo il fondatore

figlio di Marte

allattato da una lupa

destinato a compiere grandi cose

L’autore ci svela chi fu il fondatore di Roma, partendo dalla sua nascita, proseguendo con la fondazione della città e l’analisi della gestione della stessa, fino alla sua morte, anch’essa avvolta nel mistero.

Nell’introduzione, l’autore precisa subito che “questo non è un libro di storia antica, ma aspirerebbe piuttosto ad essere un libro di antropologia storica del mondo antico”. E segue spiegando che: “a chi scrive non interessa molto se sia realmente esistito un personaggio di nome Romolo che all’evenienza avrebbe fondato una città di nome Roma”. Infatti, il tema che intende trattare l’autore “consiste essenzialmente nella rappresentazione che i Romani di epoca storica hanno fornito della figura del loro fondatore”.

Ci muoviamo nel tempo del mito: Fraschetti cerca di far luce sulle intricate fonti, spesso frammentarie e quasi sempre divergenti; ogni traccia sembra portare in direzioni diverse, confondendoci e meravigliandoci allo stesso tempo. E così Romolo lo potremo credere figlio di Marte e di una schiava, o di una Vestale; e forse anche il discendente di Enea. Insieme al fratello sarà salvato da una lupa, o da una prostituta. E anche per la morte di Romolo esistono teorie differenti: finirà la sua vita ascendendo al cielo, unendosi alle altre divinità; oppure ucciso e fatto a pezzi dai patrizi nel senato.

Ho voluto scrivervi qualcosa su questo libro perché molti anni fa è stato un vero piacere leggerlo; e l’idea di scrivere qui, mi ha “costretto” a riprenderlo, rinnovando il piacere provato. Come avrete già capito, si tratta di un testo ostico, che difficilmente può interessare chi non abbia il desiderio di scontrarsi con una mole incredibile di citazioni e riferimenti a documenti che parlano in dettaglio del nostro Romolo; invece, il discorso è diverso per chi, come me, si è avvicinato alla storia romana per motivi di studio: infatti, trovo che questo sia un testo ben fatto e molto interessante per il suo approccio antropologico.

Figli nati da una Vestale cha ha subìto violenza da un dio o da un “demone” in un bosco dedicato a Marte, sono miracolosamente allattati da una lupa, nutriti anche da un picchio, salvati da un pastore e cresciuti da sua moglie Acca Larenzia […]

(Augusto, Fraschetti, Romolo il fondatore, Laterza, 2002, pp. 11-12)

 

 

Augusto Fraschetti - Romolo il fondatore

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Dino Buzzati – Il deserto dei Tartari

Giovanni Drogo è un militare di stanza al confine del paese, dove il tempo scorre in maniera diversa da ogni altro luogo. Unica attività: avvistare i segni di movimento nemico all’orizzonte.

Ma gli anni passano ed é il tempo, che scorre inesorabile, a diventare il vero nemico; e ognuno di noi, non solo Giovanni, deve affrontarlo: questo il messaggio. Vivere in attesa fa perdere il senso di ogni altra cosa: quando, durante una guardia, non accade nulla… pensi… e desideri ardentemente che qualcosa succeda, inizi a sperare che il nemico si mostri; del resto sei lì, addestrato e pronto ad affrontarlo.

Leggere Il deserto dei Tartari è stato molto interessante, anche se potrebbe risultar difficile per via di questo clima grigio e triste che pervade ogni cosa; ammetto che potrebbe assalirvi l’impulso di riporlo in libreria, ma dovete resistere! Non cadete in tentazione, la resa vi priverebbe di vivere un’esperienza molto arricchente. E’ già passato qualche anno da quando l’ho letto, ma ne ho ancora un buon ricordo, spero sarà così anche per voi.

[…] crediamo che attorno ci siano creature simili a noi e invece non c’é che gelo, pietre che parlano una lingua straniera, stiamo per salutare l’amico ma il braccio ricade inerte, il sorriso si spegne, perché ci accorgiamo di essere completamente soli.

Quassù è un po’ come in esilio, bisogna pure trovare una specie di sfogo, bisogna ben sperare in qualche cosa.

(Buzzati, Dino, Il deserto dei Tartari, Mondadori, 2011, pp. 65-66, 148)

Dino Buzzati - Il deserto dei tartari

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Jack London – Martin Eden

Jack London riesce a trasmetterci le emozioni di chi vive le proprie passioni fino in fondo. Scrivere può quindi essere un’esperienza border line, un annientamento auto inflitto che ti costringe a rinunciare a tutto, a vivere soli, con l’eccezione della compagnia dei propri scritti. Martin Eden riuscirà a risollevarsi perché, per realizzare il suo sogno, anche quando le energie sembrano mancare del tutto, troverà forze inaspettate e infine raggiungerà la notorietà, l’agognato successo… scoprendo amaramente che nemmeno il grande traguardo  è il lieto fine che ci si aspetta dopo aver sofferto tanto.

Un racconto intenso, dove la passione del protagonista ti travolge. Difficile non tifare per Martin, e ancor più difficile dimenticare questo breve romanzo che ci svela molto del suo autore.

[…] gli venne in mente che la differenza fra tutti quegli avvocati, ufficiali, uomini d’affari e cassieri di banca di sua conoscenzaa e i membri della classe operaia che aveva conosciuto prima, consisteva nel cibo che mangiavano, nei panni che vestivano, nei quartieri in cui vivevano. Era certo che in tutti loro mancava quel non so che che egli trovava in se stesso e nei libri.

(London, Jack, Martin Eden, BUR, 2010, p. 246)

Jack London - Martin Eden

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Miguel de Unamuno – Nebbia

Possiamo decidere il nostro destino? O forse tutto è già stato scritto, e dobbiamo soltanto impegnarci al meglio interpretando la parte che ci è stata assegnata? E se da umili attori trovassimo il coraggio di imporre allo scrittore, il nostro creatore, di cambiare la nostra parte? E’ una pretesa impossibile? Che cosa accadrebbe, se uno scrittore si trovasse alla mercé dei suoi personaggi? Infine, vi chiederete se dio è uno scrittore, o se alcuni scrittori si credono d’essere degli dei.

In Nebbia si parla di questo. I temi trattati sono serissimi, anche se i personaggi grotteschi che incontrerete vi faranno certamente ridere. Infatti, proprio questa è l’intenzione di Unamuno: dar vita ad una tragicommedia dove i personaggi interagiscono con l’autore che li ha creati.

Consiglio di leggere la parte introduttiva, per meglio capire le intenzioni dell’autore, che vuole inaugurare qualcosa di nuovo… che va oltre il romanzo, racconto o come normalmente intendiamo la narrativa. Infatti, lo stesso Unamuno propone il nome “nivola” per definire questo testo, allontanandosi dal canonico novela, parola che definisce i romanzi in spagnolo. Prove di scrittura ai limiti della normalità.

“Sí, señor mío, yo soy anarquista, anarquista místico, pero en teoría, entiéndase bien, en teoría. No tema usted, amigo – y al decir esto le puso amablemente la mano sobre la rodilla -, no echo bombas”. (Si, signore, sono anarchico, anarchico mistico, ma in teoria, beninteso, in teoria. Non temi, amico – e al dire questo gli mise amabilmente la mano sul ginocchio -, non tiro bombe.)

(De Unamuno, Miguel, Niebla, Ediciones Cátedra, 2009, p. 137)

Miguel de Unamuno - Nebbia

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Arto Paasilinna – Prigionieri del paradiso

Possiamo avvicinarci a questo libro semplicemente per passare del tempo in allegria, infatti, Arto Paasilinna sa sempre divertire i suoi lettori presentandoci interessanti personaggi che vivono improbabili ed esilaranti avventure; anche Prigionieri del paradiso non fa eccezione, un evento catastrofico è alla base della storia che porta un gruppo di scandinavi, impegnati in una missione umanitaria, a condividere molto più che un viaggio all’altro capo del mondo: costretti in un’isola deserta, si organizzeranno per sopravvivere in un paradiso che può rivelarsi ostile.

Facendo un po’ di attenzione, però, Prigionieri del paradiso può darci molto di più; infatti, anche se con leggerezza, sono trattati molti temi che offrono spunti di riflessione sull’uomo inteso come animale sociale; Paasilinna fa emergere, grazie all’azione dei suoi personaggi, il bisogno di organizzarsi e di cooperare per risolvere i problemi di tutti i giorni, mostrandoci come dal caos dei primi giorni questo gruppo di superstiti si trasforma in una società con regole e ruoli ben definiti; e così ci troviamo di fronte ad un divertente e irriverente “saggio” di antropologia, dove l’osservatore Paasilinna ci mostra uno spaccato di una società in divenire che cerca ostinatamente di sopravvivere alle avversità dell’isola selvaggia.

I tre uomini trascorrevano tra loro gran parte del tempo libero […]. Passavano ore e ore nella giungla […] Un giorno Vanninen mi disse: “Secondo me quelli stanno trafficando qualcosa di poco chiaro” […] Li avremmo seguiti […] Avevano abbandonato il sentiero ed erano spariti nella boscaglia. […] Ci trovammo davanti ad una distilleria clandestina.

(Paasilinna, Arto, Prigionieri del paradiso, Iperborea, 2009, pp. 116-117-118)

 

Arto Paasilinna - Prigionieri del paradiso

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Philip K. Dick – Tempo fuor di sesto

Ragle Gumm, il protagonista, è una persona tranquilla, che vive in una cittadina tranquilla, di un paese tranquillo. E quindi non ci sarebbe nulla d’interessante da raccontare se un fortuito ritrovamento non facesse emergere in Ragle i primi dubbi su chi lo circonda, sulla sua spensierata cittadina, e su ciò che gli sembra normale; e queste paranoie lui vorrebbe anche superarle, assecondarle convincendosi che sta solo farneticando; ma ogni giorno ha sempre più elementi per dubitare, e la curiosità lo costringerà a sconvolgere la sua vita, perché capire diventa imprescindibile. E scoprirà che tutto, proprio tutto, non è come sembra.

Mi hanno quasi fregato. Ma si sono traditi. […] Ragle si fermò nel corridoio, in ascolto. In lontananza udì il suono della voce della signora […] Si sta mettendo in contatto con loro. Li sta chiamando […]

(Dick, Philip K., Tempo fuor di sesto, Fanucci Editore, 2012, p. 148)

 

Philip K. Dick - Tempo fuor di sesto

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Yamamoto Tsunetomo – Hagakure. Il codice dei samurai

Ecco un modo semplice per immergersi in un’atmosfera lontana: leggere il messaggio che ha voluto lasciarci un ex samurai, poi diventato monaco buddhista con una forma mentis che deve molto al confucianesimo.

Potrete attingere alla criptica saggezza dell’Oriente per forse trovare la giusta via, quella adatta alla vostra esistenza; e scoprire che, anche all’altro capo del mondo, i libri hanno influenzato il modo di vivere e di sentirsi dei popoli. Infatti, nel bene e nel male, ogni parola di questo testo non sembra scritta per caso, e forse ha in maniera tremenda segnato anche l’ascesa e la caduta del Giappone dello scorso secolo.

2. La caratteristica peggiore è la negligenza.

39. Imparare ad ascoltare le parole degli altri, a leggere i libri e sospendere il giudizio – sono questi gli strumenti per conseguire la capacità di giudizio degli antichi.

(Yamamoto, Tsunetomo, Hagakure. Il codice dei samurai, BUR, 2004, p. 31, 41)

Il codice dei samurai. Hagakure

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