ho paura
ho paura di noi
voglio tornare a casa
o Dio, voglio tornare a casa!
man produces evil as a bee produces honey
William Golding
Un gruppo di ragazzini sopravvive a un disastro aereo e si ritrova in un’isola deserta; so che ormai tutti, famosi o meno, prima o poi, naufragano in un’isola, ma questa è una storia particolare, che val la pena di scoprire! L’autore descrive il ritorno alla natura dei giovani che, inevitabilmente, perdono l’infantile innocenza; purtroppo, la situazione sfugge loro di mano e nemmeno l’uso della conchiglia, che dapprincipio era diventata il simbolo della convivenza pacifica sull’isola, riesce a mantenere l’ordine.
I disaccordi iniziali si trasformano in insanabili dissidi, sfociando in una violenza di tale intensità da poter sembrare impossibile in dei bambini. E’ evidente come l’autore non nutrisse nessuna fiducia in un futuro di pace, probabilmente era un pessimista (brutta gente, i pessimisti)… o semplicemente un buon osservatore.
Ciò che Golding descrive non è altro che la trasposizione della violenza degli adulti in un contesto infantile; il modo naturale di relazionarsi dei bambini, il gioco, si trasforma in massacro. I ragazzini, cresciuti repentinamente, portano a frutto gli insegnamenti appresi dalla società dei genitori, che li ha educati (inconsciamente?) alla violenza.
La paura è centrale, accompagna tutta l’opera; ogni evento è scatenato, consciamente o inconsciamente, dalla paura; la paura impedisce al gruppo di stabilire una convivenza pacifica. Paura del buio, dell’ignoto; ed è un terrore indescrivibile e impalpabile a trasformare i ragazzini in feroci creature che cercano con l’aggressività di allontanare ogni timore; la paura prende il sopravvento sull’obbiettività, sul buon senso, condannando il gruppo all’autodistruzione.
Anche se il libro è stato scritto circa cinquanta anni fa, la lettura è molto utile oggi perché offre tantissimi spunti sulle difficoltà della convivenza. Oggi siamo tenuti a decidere se aver paura di tutto ciò che non conosciamo, e quindi combattere fino a eliminare ogni “nemico”, o vincere la paura e coraggiosamente cercare la via per convivere con ciò che ci circonda. Se si sceglie di combattere, il problema, in ultima analisi, è solamente uno: saremo in grado di fermarci prima di eliminare anche la nostra ombra?
Torniamo al cinema: consiglio la visione de “Il signore delle mosche” di Peter Brook del 1963; un film molto bello, che non si discosta molto dal testo (sempre valido il precetto: prima leggete, poi guardate).
«I grandi sanno cavarsela» disse Piggy. «Non hanno paura del buio. Si troverebbero insieme a prendere il tè e a discutere, e tutto andrebbe a posto…» «Non darebbero fuoco all’isola. E non perderebbero…» «Costruirebbero una nave…» In piedi nel buio i tre ragazzi si sforzavano inutilmente di esprimere la maestà della vita degli adulti. «Non litigherebbero…»
«Io ho paura. Ho paura di noi. Voglio tornare a casa. O Dio, voglio tornare a casa!»
«Che cosa è meglio: avere delle leggi e andare d’accordo, o andare a caccia e uccidere?» […] «Che cosa è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?»
(William, Golding , Il Signore delle Mosche, Mondadori, 1992, pp. 108, 185, 213)