Charles Bukowski – Storie di ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni

Pazzia?

Certo

Cosa non è pazzia?

Non è pazzia la vita stessa?

if I had a book or a drink then I didn’t think too much of
other things − fools create their own
paradise
Charles Bukowski, The Last Night of the Earth Poems

“Storie di ordinaria follia” è una raccolta di racconti brevi (42, lunghezza media: 8 pagine). Temi ricorrenti: la mancanza di soldi, l’alcolismo, avventure sessuali più o meno probabili, corse di cavalli e relative scommesse; mix confuso di questi temi, e molto altro… Per dipingere senza nessuna censura la società americana.

‘Storie di ordinaria follia' di Marco Ferreri
Screenshot del film ‘Storie di ordinaria follia’ di Marco Ferreri

Annientando l’ipocrisia e il politically correct, il paladino dei loser americani vince chi lo definisce perdente; la vita di Bukowski è la dimostrazione che non si deve aver paura di essere se stessi. Chi è il perdente? Io, tu? Tutti o nessuno? L’America o Bukowski? Questo il dilemma cui potremmo dare una risposta.

Anche se questi racconti sono una lettura leggera, v’invitano a riflettere su com’è facile lasciarsi ingabbiare da una società che pretende di farci diventare qualcosa di diverso da quello che vorremmo. Poco importa il giudizio su cosa sia stato Bukowski… le sue parole scavano a fondo, non interessano un pubblico ristretto, i soli emarginati; ognuno dovrebbe conoscerlo: per imparare a osservare con occhi diversi il fascinoso mondo delle star, di Hollywood, del sogno americano, affinché un giorno qualcuno non si risvegli di soprassalto accorgendosi che è tutta una fregatura.

Sono certo di una cosa, anche se questa raccolta non vi piacerà, vi insegnerà qualche trucco per vincere ai cavalli. E si sa, a Bukowski, le corse rendevano un sacco di soldi.

Appuntamento al cinema: vi segnalo “Storie di ordinaria follia” di Marco Ferreri (1981), un interessante film che s’ispira a questa raccolta. Vi avverto che all’appello mancano tantissimi argomenti (la sceneggiatura si limita a sviluppare soltanto tre racconti della raccolta). Resta valida la regola: prima leggere il libro e poi guardare il film.


Cass era la più bella ragazza di tutta la città. […] era fuoco fluido in movimento. […] Agli uomini in genere Cass pareva una macchina da fottere […] Io l’incontrai al West End Bar poco dopo che era venuta via dal convento. […] Quella sera entrò là e, semplicemente, si venne a sedere vicino a me. Io ero forse l’uomo più brutto della città […] Non ci dicemmo niente di straordinario, mi sa, […] Cass aveva scelto me e questo era quanto.

da ragazzo avevo appreso, nei cortili delle scuole americane, la vergogna dell’essere sconfitti […] uno deve riuscir vincitore in America, non c’è niente da fare, non c’è altra via d’uscita, e bisogna imparare a combattere per niente, senza fare domande…

“Come mai non è sotto le armi?” “Non ho superato la visita psichiatrica” “Vorrà scherzare” “Grazie a dio, no” “Non ambisce a combattere?” “No” “Ci hanno attaccati a tradimento, a Pearl Harbour” “L’ho inteso dire” “Non ambisce a combattere contro Adolf Hitler?” “Veramente no. Lascio che altri lo facciano” “Lei è un vigliacco” “Sì, lo sono, e non è tanto per non ammazzare la gente, quanto che non sopporto la vita di caserma, dormire con un branco di uomini che russano, e poi essere svegliato da un cazzone che suona la tromba, e non mi va di indossare una ruvida camicia verde-oliva. Ho la pelle molto sensibile.”

Per poco che abbia, un uomo, s’accorge che potrebbe aver anche di meno.

“… cela una estrema sensibilità sotto una scorza di indifferenza…”

Chi ci crede alle cose a venire? […] Gli otto o dieci uomini e donne a bordo d’un astronave, la Nuova Arca, che vanno a trapiantare il seme dell’uomo su un altro pianeta?

Pazzia? Certo. Cosa non è pazzia? Non è pazzia la vita stessa? Siamo come giocattoli con la carica, tutti quanti noi… Qualche giro di chiavetta e, quando la molla si scarica, addio…

(Charles, Bukowski, Storie di ordinaria follia. Erezioni Eiaculazioni Esibizioni, Feltrinelli, 2014, pp. 9-10, 20, 29-30, 37, 187, 335)

Charles Bukowski - Storie di ordinaria follia

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Thomas Mann – La morte a Venezia

voglia di viaggiare

esaltata fino alla passione

un’avventura così inammissibile

per quanto ci sforziamo, l’abisso ci attira

Gustav Aschenbach, uno scrittore di Monaco, sente il bisogno di viaggiare, di fuggire dall’opera, dal luogo giornaliero di quel servizio rigido, freddo e appassionato; parte, senza una meta prestabilita e si ritrova a Venezia. Qui si lascia sedurre dalla bellezza di un giovane ragazzo, e perdendo ogni forma di autocontrollo si lascia andare ad una passione insana e pericolosa; nonostante il rinforzare delle voci che sembrano confermare la presenza di una terribile epidemia, decide di restare in città, ciò sconvolgerà la sua vita, fino all’estrema conseguenza.

Canaletto (Giovanni Antonio Canal) - Veduta del bacino di San Marco dalla punta della Dogana
Canaletto (Giovanni Antonio Canal) – Veduta del bacino di San Marco dalla punta della Dogana http://www.wga.hu/art/c/canalett/4/canal410.jpg

Mann non avrebbe potuto descrivere meglio la degenerazione di un uomo distinto, preciso e determinato. Che cosa induce a voltar le spalle alla società, al successo, al senso del pudore, ad elementari regole che il protagonista, peraltro, conosce bene? Soltanto un giovanotto che passa le vacanze estive al lido? Non può essere, dev’esserci un trucco: forse Mann riteneva troppo banale che il suo protagonista potesse decidere di lascarsi andare solo perché, ad un certo punto della sua vita, non riteneva più così importante “persistere”, e qui subentrerebbe la figura del ragazzo che sublima l’ideale di innocenza e bellezza a cui aspira il protagonista, ormai vecchio e consapevole del male che tutto ammorba.

Troppe energie servirebbero per aggrapparsi alla vita e fuggire dal pericolo? Così Aschenbach potrebbe aver pensato di sfidare la morte, giocare con lei, per sentirsi ancora giovane, come quel ragazzo che ammirava… sentirsi fresco e sereno in un ambiente tanto malsano quanto stupefacente. Allora prende il sopravvento il desiderio di annientamento sullo spirito di sopravvivenza, che imporrebbe ben più sagge decisioni. L’epilogo è sì scontato, ma per niente logico: lasciarsi morire a Venezia, consci della sua bellezza ammaliatrice, consapevoli della sua natura beffarda, tremenda incantatrice accattivante che non teme che il suo odore lasci intendere la sua pericolosità.

Forse Aschenbach vuole ascoltare il morboso richiamo del suo inconscio che lo spinge al capolinea, non con casualità ma in un momento preciso della sua vita. Se di passione inammissibile si tratta, il protagonista sente di dover morire con essa, sperando non ne trapeli notizia alcuna, affinché il ricordo di retto uomo di cultura non perda lucentezza.

Un capolavoro può essere scritto in poche pagine. Cosa mi piace di più? Se devo scegliere, le descrizioni di Venezia, città unica… e mortalmente attraente.


Infine, solo e soltanto dopo la lettura, se proprio volete: guardate la  trasposizione cinematografica di Luchino Visconti. Si tratta di un buon lavoro, ma vi avverto che è andata perduta la profondità introspettiva dell’opera.

http://www.luchinovisconti.net/visconti_sc_film/morte_venezia.htm

Così la rivedeva, quella stupefacente banchina, quell’abbagliante composizione di fantastici edifici che la Serenissima Repubblica presentava agli sguardi riverenti dei navigatori che si avvicinavano: l’aerea magnificenza del Palazzo Ducale e il Ponte dei Sospiri, le colonne sulla riva col Leone e col Santo, il fastoso aggetto del tempio favoloso e il traforo della Porta dell’Orologio coi Mori, e contemplando si disse che arrivare a Venezia dalla terraferma era come entrare in un palazzo dalla porta di servizio, e che solo per nave, dall’alto mare, come aveva fatto lui questa volta, bisognava giungere nella città più inverosimile del mondo.

Rimango, pensò Aschenbach. Dove trovo meglio di qui? E con le mani intrecciate in grembo lasciò errare i suoi occhi sulle lontananze del mare, e il suo sguardo fuggire, dissolversi, spezzarsi nella caligine monotona dello spazio deserto. Amava il mare per ragioni profonde: l’esigenza di riposo dell’artista costretto a una dura fatica, che, davanti all’esigente multiformità dei fenomeni aspira alla semplicità, all’immensità; la tendenza vietata, contraddittoria rispetto alla sua missione e appunto per questo irresistibile, verso l’inarticolato, lo smisurato, l’eterno, il nulla. Avere pace nella perfezione è il sogno di chi si affatica per giungere all’eccellenza; e non è forse il nulla una forma di perfezione?

I gradini marmorei di una chiesa scendevano nell’acqua; un mendicante accovacciato sui gradini tendeva il cappello gridando la sua miseria e mostrando il bianco degli occhi come se fosse stato cieco; un antiquario invitava con gesti servili dalla sua spelonca il passante a fermarsi, nella speranza d’imbrogliarlo. Questa era Venezia, la bellezza lusingatrice e ambigua – quella città, a metà favola a metà trabocchetto per i forestieri, nella cui aria corrotta l’arte aveva avuto in passato un esuberante rigoglio, e i musici avevano composto suadenti melodie capaci di rapire voluttuosamente.

(Thomas, Mann, La morte a venezia, Feltrinelli, 2003, pp. 20, 30, 52)

Thomas Mann - La morte a Venezia

 

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