Ogni cosa
ha un senso
solo
perché gli uomini siano felici
Vi propongo la lettura di un bellissimo racconto, questa volta ambientato nella Milano della Resistenza. Vittorini lo scrive prestissimo, nel 1945, quando i fatti sono appena accaduti, “ancora caldi” qualcuno direbbe. L’autore sembra spinto da una grande forza che lo costringe a narrare: con un approccio incredibilmente semplice, ci offre un’immagine dettagliata di quello che fu il clima della guerra civile. Ne risulta un testo splendido, pieno di significato, che cerca di far riflettere senza alcuna censura sul tema del bene e del male.
L’autore ci presenta un partigiano, Enne 2, e i mille dubbi che lo affliggono mentre cerca di cacciare i tanti nemici che dominano una Milano atterrita dalla violenza. Diventa chiaro come, in quei momenti, fosse necessario prendere delle decisioni, non restare a guardare. In tempo di guerra, le conseguenze di una decisione possono essere drammatiche: questo vuole dirci l’autore, che ci svela nei momenti più intimi del racconto, tutti i dubbi che affollano la mente del protagonista.
Non ci troveremo di fronte ad un uomo convinto di essere nel giusto; all’opposto, Enne 2 ha paura di sbagliare, di mal interpretare cosa sia meglio fare, di essere causa di dolore; ha paura di deludere; non si sente un eroe. Il protagonista parla a se stesso raccontandoci il suo costante stato di dubbio: Enne 2 non ha certezze… non sa spiegarsi se il suo agire può essere considerato giusto, se i compagni perderanno o hanno già perso la vita per qualcosa di giusto.
Leggendo “Uomini e no” ci convinciamo di quanto sia importante decidere, e come sia naturale agire, portando avanti le proprie idee anche fino alle estreme conseguenze. Vittorini mette in luce i facili comportamenti dettati dalla mera sopravvivenza: per esempio, aver la pancia piena, soprattutto in tempo di guerra, non è semplice; anteporre la propria fame all’essere giusto diventa uno dei tanti modi per stabilire se si è uomini o meno, decidere tra lottare per una società equa o prevaricare l’altro in una società escludente e razzista.
Chiudo con una breve riflessione su un concetto che potremmo definire di “equidistanza” tra le fazioni: cioè la tendenza, che sembra si stia affermando ultimamente, di parificare la morte di ogni italiano, con l’intento di avvalorare un messaggio del tipo: “è stata una guerra civile disastrosa, che ha causato tantissime morti; le due fazioni, parimenti colpevoli di tante morti, hanno combattuto con convinzione per ideali opposti e da tutti ritenuti, in buona fede, giusti. Ergo: pari onore a tutti i caduti”.
Dopo tanti anni, ritengo sia di vitale importanza non perdere il senso dell’atrocità della guerra, ma assolutamente senza mettere tutti sullo stesso piano: se facessimo così, diverrebbe equivalente essere boia o vittima. Con questo non voglio dire che sia giusto offendere i tanti caduti della parte che infine ha perso la guerra, dovremmo ricordare ciò che è accaduto per costruire un paese migliore, che non ricada in errori analoghi o peggiori, per non tornare ad ammazzarci a vicenda.
Ecco perché è importante leggere questo racconto: per riflettere su ciò che animava le parti in lotta. Ognuno, in quell’epoca difficile, aveva mille dubbi… e l’aver deciso di stare di qua o di là non era equivalente… essere il carnefice o la carneficina non fu solo questione di geografia… stare di qua o di là del flusso delle pallottole non fu un dettaglio trascurabile.
Appuntamento al cinema (prima dovete assolutamente leggere il libro): “Uomini e no” di Valentino Orsini del 1980. Una trasposizione abbastanza fedele, i dialoghi sono spesso rispettati meticolosamente, e il clima di tensione che si percepisce durante la lettura è ben tradotto. Purtroppo, il film non comunica il senso più profondo del racconto, ovvero i turbamenti del protagonista.
Bisogna che gli uomini possano essere felici. Ogni cosa ha un senso solo perché gli uomini siano felici. Non è solo per questo che le cose hanno un senso?
Nella grande sala del primo piano si stavano scegliendo […] quaranta nominativi di uomini da tirar fuori di cella […] e fucilare. Senza interrogatorio, senza difesa, senza nemmeno una concreta accusa […] e nessuno, giù nel corpo di guardia, né biondo tedesco, né giovane o vecchio milite italiano, pensava un momento a quello che la riunione del primo piano significava […] eppure la cosa che accadeva di sopra accadeva per via di loro, e mai avrebbe potuto accadere se tutti loro non fossero stati lì a mangiar cioccolato e giocare con un cane.
Noi vogliamo sapere […] se è nell’uomo quello che essi fanno quando offendono.
(Elio, Vittorini, Uomini e no, Mondadori, 2012, pp. 13, 76-77, 176)