Perché amo
quanto ha a che fare con
la cucina fino a questo punto?
al centro di una cucina tutto ricomincia
Mikage, la protagonista, è una ragazza sola; il racconto narra il suo percorso per trovare la serenità. L’autrice ci accompagna alla scoperta del microcosmo di Mikage, dove elementi apparentemente scombinati, e un’esistenza molto difficile, si stabilizzano in orbite ordinate in cui, nonostante l’ostilità di ciò che la circonda, a vincere è il suo desiderio di felicità.
Per l’equilibrio della ragazza, diverrà centrale il rapporto con la cucina, sia come luogo in cui sentirsi al sicuro, sia come opportunità di svago e motivo di realizzazione. L’ambiente domestico assume così una valenza protettiva, diviene un ambiente favorevole alla rinascita e alla realizzazione interiore.
L’autrice riesce a dare grande spessore ai personaggi, ed in particolare alla protagonista; ne risulta che anche particolari, che noi potremmo ritenere insignificanti, acquisiscano un’importanza inaspettata; forse, dopo la lettura di questo breve racconto, potremo trovare nei piccoli gesti quotidiani, che svolgiamo sovrappensiero, nuovi stimoli per apprezzare, come Mikage, la bellezza delle piccole cose.
Il testo è leggero, preciso e facile da leggere, si riescono a sentire i rumori e a vedere le luci descritte minuziosamente da Yoshimoto. In una parola: bellissimo. Grazie a chi mi ha fatto conoscere Banana Yoshimoto.
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progetto abbinamenti
quando: notte con grande luna
dove: ai piedi del frigorifero
piatto: anguilla ai ferri
vino: Bosco Eliceo Fortana
drink: Long Island Iced Tea
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Amavo il divano di casa Tanabe quasi quanto la loro cucina. Dormirci sopra era un piacere. Mi addormentavo sempre tranquilla, cullata dal respiro delle piante, e avvertendo la presenza del panorama notturno dietro le tende.
Perché amo quanto ha a che fare con la cucina fino a questo punto? E’ strano. Per me è come ritrovare un’aspirazione lontana, incisa nella memoria dello spirito. Stando in piedi al centro di una cucina tutto ricomincia da capo e qualcosa ritorna.
Mentre lavavo la gran mole dei piatti facendo scorrere piano l’acqua per non svegliare Yūichi, cominciai a piangere senza freno. Naturalmente non era il pensiero di dover lavare quella quantità enorme di piatti, ma perché mi sentivo completamente abbandonata, persa, nella desolata solitudine di quella notte.
[…] gran parte della storia è incisa nei sensi. E cose di nessuna importanza, insostituibili, ritornano così all’improvviso, in un caffè d’inverno.
(Banana, Yoshimoto, Kitchen, Feltrinelli, 2014, pp. 24, 55, 63, 71)