William Golding – Il Signore delle Mosche

ho paura

ho paura di noi

voglio tornare a casa

o Dio, voglio tornare a casa!

man produces evil as a bee produces honey
William Golding

Un gruppo di ragazzini sopravvive a un disastro aereo e si ritrova in un’isola deserta; so che ormai tutti, famosi o meno, prima o poi, naufragano in un’isola, ma questa è una storia particolare, che val la pena di scoprire! L’autore descrive il ritorno alla natura dei giovani che, inevitabilmente, perdono l’infantile innocenza; purtroppo, la situazione sfugge loro di mano e nemmeno l’uso della conchiglia, che dapprincipio era diventata il simbolo della convivenza pacifica sull’isola, riesce a mantenere l’ordine.

The shell
The shell, Eileen Agar, 1934, olio su tela

I disaccordi iniziali si trasformano in insanabili dissidi, sfociando in una violenza di tale intensità da poter sembrare impossibile in dei bambini. E’ evidente come l’autore non nutrisse nessuna fiducia in un futuro di pace, probabilmente era un pessimista (brutta gente, i pessimisti)… o semplicemente un buon osservatore.

Ciò che Golding descrive non è altro che la trasposizione della violenza degli adulti in un contesto infantile; il modo naturale di relazionarsi dei bambini, il gioco, si trasforma in massacro. I ragazzini, cresciuti repentinamente, portano a frutto gli insegnamenti appresi dalla società dei genitori, che li ha educati (inconsciamente?) alla violenza.

Karpasten herra
Karpasten herra, Jarmo Mäkilä, 2010, olio su tela

La paura è centrale, accompagna tutta l’opera; ogni evento è scatenato, consciamente o inconsciamente, dalla paura; la paura impedisce al gruppo di stabilire una convivenza pacifica. Paura del buio, dell’ignoto; ed è un terrore indescrivibile e impalpabile a trasformare i ragazzini in feroci creature che cercano con l’aggressività di allontanare ogni timore; la paura prende il sopravvento sull’obbiettività, sul buon senso, condannando il gruppo all’autodistruzione.

Anche se il libro è stato scritto circa cinquanta anni fa, la lettura è molto utile oggi perché offre tantissimi spunti sulle difficoltà della convivenza. Oggi siamo tenuti a decidere se aver paura di tutto ciò che non conosciamo, e quindi combattere fino a eliminare ogni “nemico”, o vincere la paura e coraggiosamente cercare la via per convivere con ciò che ci circonda. Se si sceglie di combattere, il problema, in ultima analisi, è solamente uno: saremo in grado di fermarci prima di eliminare anche la nostra ombra?

Lord of the flies
Lord of the flies, Eileen Agar, 1956, olio su tela

Torniamo al cinema: consiglio la visione de “Il signore delle mosche” di Peter Brook del 1963; un film molto bello, che non si discosta molto dal testo (sempre valido il precetto: prima leggete, poi guardate).

«I grandi sanno cavarsela» disse Piggy. «Non hanno paura del buio. Si troverebbero insieme a prendere il tè e a discutere, e tutto andrebbe a posto…» «Non darebbero fuoco all’isola. E non perderebbero…» «Costruirebbero una nave…» In piedi nel buio i tre ragazzi si sforzavano inutilmente di esprimere la maestà della vita degli adulti. «Non litigherebbero…»

«Io ho paura. Ho paura di noi. Voglio tornare a casa. O Dio, voglio tornare a casa!»

«Che cosa è meglio: avere delle leggi e andare d’accordo, o andare a caccia e uccidere?» […] «Che cosa è meglio: la legge e la salvezza o la caccia e la barbarie?»

 (William, Golding , Il Signore delle Mosche, Mondadori, 1992, pp. 108, 185, 213)

William Golding - Il Signore delle Mosche

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Jack London – Il richiamo della foresta

non era un cane da casa

lottava come due diavoli

anch’egli ululò e il branco gli si strinse intorno

E’ la storia di Buck, un cane che viveva agiatamente in una villa californiana; catapultato in Alaska, è costretto a diventare un cane da slitta, e una volta libero dai vincoli che lo legavano all’uomo, torna a vivere insieme ai suoi antenati, i lupi.

Un viaggio dall’inconsapevolezza alla piena riscoperta del proprio essere. La regressione di un cane alla vita selvaggia è allo stesso tempo un processo evolutivo che ripone l’animale, ammaestrato e ammansito, in comunione con la natura e le sue leggi.

Gli uomini, suoi padroni, poi schiavisti, infine compagni leali di vita, perderanno il ruolo di guida; Buck riprenderà possesso del suo destino e infine troverà la sua strada, non per questo dimenticando il passato.

 Il concetto più interessante è la visione di London della natura. La sopravvivenza non è per nulla automatica, estremamente difficile in un ambiente ostile. L’ambiente antropizzato e pacifico del sud differisce totalmente dal selvaggio nord; più volte London sottolinea come le leggi del sud non siano applicabili al nord, dove la forza bruta prevale, ma anche i sentimenti non per forza violenti possono trovare spazio, e romanticamente London sa dar spazio anche allo smoderato amore che può instaurarsi tra cane e padrone (e che Buck non aveva conosciuto nella casa in cui era vissuto prima di finire al nord).

Andy Richards - White Pass, Near the Top
Andy Richards – White Pass, Near the Top http://lightcentric.files.wordpress.com/2010/06/white-pass-railroad-skagway-alaska-052620100385.jpg

“Il richiamo della foresta” evoca sentimenti forti, possiamo provare a descriverli, ma è come voler sperimentare una reazione chimica senza osservarla in laboratorio. Quindi leggiamolo, per sperimentare l’amore e altresì quel vortice di rabbia disperata che è l’istinto di vendetta (Maurizio Ascari).

Ho trovato molto interessante l’analisi di Ascari, che potete trovare nell’edizione che ho letto io (Marsilio). Credo che, aldilà del pensiero personale di London, “il richiamo della foresta” sia importante per riflettere sull’uomo e il suo rapporto con la natura, visto che ci dimentichiamo troppo spesso di esserne parte integrante. Un appunto, non vorrei si cadesse nell’errore opposto, cioè quello di abbracciare il determinismo biologico tanto fortemente da annullare quel bel principio, l’umanità, che ci ha permesso di costruire delle società in cui val la pena di vivere.

Albert Bierstadt - Call of the Wild
Albert Bierstadt – Call of the Wild http://uploads3.wikiart.org/images/albert-bierstadt/call-of-the-wild.jpg

Buck era inesorabile. La misericordia era qualcosa di riservato ai climi più miti. Si apprestò all’assalto finale.

Buck non conosceva gioia più grande di quel rozzo abbraccio e delle ingiurie che udiva mormorare, e ogni volta che veniva scosso avanti e indietro sembrava che il cuore gli uscisse dal petto, tanto era in estasi.

Da allora in poi, notte e giorno, Buck non abbondonò più la preda […] né concesse all’alce ferito l’opportunità di estinguere la sua sete ardente […] l’alce prese a fermarsi per lunghi periodi, col naso a terra e le orecchie tristemente afflosciate […] al termine del quarto giorno, abbatté il grande alce.

(Jack, London, Il richiamo della foresta, Marsilio, 2003, pp. 68 – 94 – 117,118)

Jack London - Il richiamo della foresta

 

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