Umberto Eco – Il nome della rosa

La biblioteca è testimonianza 

della verità

e dell’errore.

Gridai

poi sprofondai in un buio infinito

Un manoscritto, una traduzione miracolosamente ritrovata, un mistero sconvolgente caduto nell’oblio e finalmente tornato alla luce. Eco ci rapisce, raccontandoci gli eventi riportati da Adso da Melk, l’autore del manoscritto perduto; la precisione con cui è stato scelto ogni particolare e lo stile sono impeccabili, tanto da rendere perfettamente realistico questo romanzo.

Caspar David Friedrich - Abtei im Eichwald
Abtei im Eichwald, Caspar David Friedrich, 1810, Olio su tela

Lessi “Il nome della rosa” molti anni fa, lo considero tra i migliori libri mai letti. Già da un anno il libro stava nel luogo in cui ripongo quelli che vorrei descrivervi; finalmente, alle tante parole spese a suo riguardo, aggiungo le mie.

In questo libro accompagnerete un investigatore di mirabile acume nel percorso verso la verità; la lettura permetterà di conoscere più a fondo un’epoca lontana; tra le altre cose, avrete anche l’occasione di rispolverare qualche nozione di erboristeria e, soprattutto, rifletterete su bene e male e come sia difficile amministrare la giustizia; il testo vi offrirà l’opportunità di arricchire il vostro lessico e scoprire la finezza dell’autore nell’uso delle parole.

Sinceramente, non credo d’essere portatore di nuove idee o interpretazioni innovative, spero soltanto di far comprendere quanto bello sia stato leggerlo; si tratta di un buon investimento che vi arricchirà certamente.

Esiste una versione cinematografica de Il nome della rosa: il film omonimo di Jean-Jacques Annaud, del 1986. Come il solito, invito a leggere il libro e, eventualmente, poi guardare il film; in questo caso, si tratta di un’ottima trasposizione cinematografica, anche se, inevitabilmente, non riesce a raggiungere la profondità del testo originario.

progetto abbinamenti

quando: una settimana nevosa

dove: lontano dai rumori della città

piatto: latte, miele e grappoli d’uva

vino: Rossese di Dolceacqua

drink: Angel Face

Giunto al finire della mia vita di peccatore […] mi accingo a lasciare su questo vello testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui in gioventù mi accadde di assistere.

“La biblioteca è testimonianza della verità e dell’errore, ” disse allora una voce alle nostre spalle. Era Jorge. Ancora una volta mi stupii […] per il modo inopinato in cui quel vecchio appariva d’improvviso, come se noi non vedessimo lui e lui vedesse noi. Mi chiesi anche cosa mai facesse un cieco nello scriptorium […]

Scriptorium

Non mi rendevo più conto di dove fossi, e dove fosse la terra e dove il cielo. [...] Gridai, credo […] poi sprofondai in un buio infinito, che sembrava si aprisse sempre di più sotto di me e non seppi più nulla.

Lascio questa scrittura, non so per chi, non so più intorno a che cosa: stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus.

(Umberto, Eco, Il nome della rosa, Bompiani, 2005, pp. 19, 136, 178-179, 503)

Umberto Eco - Il nome della rosa

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Thomas Mann – La morte a Venezia

voglia di viaggiare

esaltata fino alla passione

un’avventura così inammissibile

per quanto ci sforziamo, l’abisso ci attira

Gustav Aschenbach, uno scrittore di Monaco, sente il bisogno di viaggiare, di fuggire dall’opera, dal luogo giornaliero di quel servizio rigido, freddo e appassionato; parte, senza una meta prestabilita e si ritrova a Venezia. Qui si lascia sedurre dalla bellezza di un giovane ragazzo, e perdendo ogni forma di autocontrollo si lascia andare ad una passione insana e pericolosa; nonostante il rinforzare delle voci che sembrano confermare la presenza di una terribile epidemia, decide di restare in città, ciò sconvolgerà la sua vita, fino all’estrema conseguenza.

Canaletto (Giovanni Antonio Canal) - Veduta del bacino di San Marco dalla punta della Dogana
Canaletto (Giovanni Antonio Canal) – Veduta del bacino di San Marco dalla punta della Dogana http://www.wga.hu/art/c/canalett/4/canal410.jpg

Mann non avrebbe potuto descrivere meglio la degenerazione di un uomo distinto, preciso e determinato. Che cosa induce a voltar le spalle alla società, al successo, al senso del pudore, ad elementari regole che il protagonista, peraltro, conosce bene? Soltanto un giovanotto che passa le vacanze estive al lido? Non può essere, dev’esserci un trucco: forse Mann riteneva troppo banale che il suo protagonista potesse decidere di lascarsi andare solo perché, ad un certo punto della sua vita, non riteneva più così importante “persistere”, e qui subentrerebbe la figura del ragazzo che sublima l’ideale di innocenza e bellezza a cui aspira il protagonista, ormai vecchio e consapevole del male che tutto ammorba.

Troppe energie servirebbero per aggrapparsi alla vita e fuggire dal pericolo? Così Aschenbach potrebbe aver pensato di sfidare la morte, giocare con lei, per sentirsi ancora giovane, come quel ragazzo che ammirava… sentirsi fresco e sereno in un ambiente tanto malsano quanto stupefacente. Allora prende il sopravvento il desiderio di annientamento sullo spirito di sopravvivenza, che imporrebbe ben più sagge decisioni. L’epilogo è sì scontato, ma per niente logico: lasciarsi morire a Venezia, consci della sua bellezza ammaliatrice, consapevoli della sua natura beffarda, tremenda incantatrice accattivante che non teme che il suo odore lasci intendere la sua pericolosità.

Forse Aschenbach vuole ascoltare il morboso richiamo del suo inconscio che lo spinge al capolinea, non con casualità ma in un momento preciso della sua vita. Se di passione inammissibile si tratta, il protagonista sente di dover morire con essa, sperando non ne trapeli notizia alcuna, affinché il ricordo di retto uomo di cultura non perda lucentezza.

Un capolavoro può essere scritto in poche pagine. Cosa mi piace di più? Se devo scegliere, le descrizioni di Venezia, città unica… e mortalmente attraente.


Infine, solo e soltanto dopo la lettura, se proprio volete: guardate la  trasposizione cinematografica di Luchino Visconti. Si tratta di un buon lavoro, ma vi avverto che è andata perduta la profondità introspettiva dell’opera.

http://www.luchinovisconti.net/visconti_sc_film/morte_venezia.htm

Così la rivedeva, quella stupefacente banchina, quell’abbagliante composizione di fantastici edifici che la Serenissima Repubblica presentava agli sguardi riverenti dei navigatori che si avvicinavano: l’aerea magnificenza del Palazzo Ducale e il Ponte dei Sospiri, le colonne sulla riva col Leone e col Santo, il fastoso aggetto del tempio favoloso e il traforo della Porta dell’Orologio coi Mori, e contemplando si disse che arrivare a Venezia dalla terraferma era come entrare in un palazzo dalla porta di servizio, e che solo per nave, dall’alto mare, come aveva fatto lui questa volta, bisognava giungere nella città più inverosimile del mondo.

Rimango, pensò Aschenbach. Dove trovo meglio di qui? E con le mani intrecciate in grembo lasciò errare i suoi occhi sulle lontananze del mare, e il suo sguardo fuggire, dissolversi, spezzarsi nella caligine monotona dello spazio deserto. Amava il mare per ragioni profonde: l’esigenza di riposo dell’artista costretto a una dura fatica, che, davanti all’esigente multiformità dei fenomeni aspira alla semplicità, all’immensità; la tendenza vietata, contraddittoria rispetto alla sua missione e appunto per questo irresistibile, verso l’inarticolato, lo smisurato, l’eterno, il nulla. Avere pace nella perfezione è il sogno di chi si affatica per giungere all’eccellenza; e non è forse il nulla una forma di perfezione?

I gradini marmorei di una chiesa scendevano nell’acqua; un mendicante accovacciato sui gradini tendeva il cappello gridando la sua miseria e mostrando il bianco degli occhi come se fosse stato cieco; un antiquario invitava con gesti servili dalla sua spelonca il passante a fermarsi, nella speranza d’imbrogliarlo. Questa era Venezia, la bellezza lusingatrice e ambigua – quella città, a metà favola a metà trabocchetto per i forestieri, nella cui aria corrotta l’arte aveva avuto in passato un esuberante rigoglio, e i musici avevano composto suadenti melodie capaci di rapire voluttuosamente.

(Thomas, Mann, La morte a venezia, Feltrinelli, 2003, pp. 20, 30, 52)

Thomas Mann - La morte a Venezia

 

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